Nel suo elegante ufficio a due passi da uno dei luoghi simbolo di Milano, Santa Maria delle Grazie con i suoi celebri tesori, Angelo Vergani, 56 anni, laureato in Bocconi nel 1980, dirige Contract Manager, la prima società di temporary management in Italia. Ma anche nell’ampia sala riunioni con le pareti affisse di quadri d’arte contemporanea, Vergani non smette mai di pensare al kayak, la sua grande passione maturata negli anni dell’università e sperimentata per la prima volta in Galles, dove si era recato per imparare l’inglese. Una passione che ha raccontato in due libri, Fuga nella gola(Lampi di stampa, 2004) e Attrazione fluviale (Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 2011), e che ha dato lo spunto per organizzare il Festival cinematografico internazionale dedicato a questa disciplina, la cui terza edizione si terrà a Campertogno, in Valsesia, dal 25 al 27 maggio, nella patria italiana della canoa fluviale. “Il kayak è una disciplina che ti mette a confronto con i tuoi limiti, non c’è un avversario contro cui combattere. Sei tu che cerchi di superare te stesso”.
Una sfida con se stesso che Vergani ha raccolto anche nel lavoro, quando ha deciso di lasciare alla fine degli anni 80 una promettente carriera di docente in Bocconi, dove era assistente di Vittorio Coda, per lanciarsi in una nuova avventura, “quando non esistevano in Italia esempi di temporary management, e in Europa se ne parlava solo in Gran Bretagna e in Olanda”. Una battaglia alla fine vinta, come le molte combattute sui fiumi di tutto il mondo. Dagli inizi sono infatti oltre 400 i fiumi e i torrenti discesi con il kayak o la canoa, dall’Europa alla Mongolia, dal Canada all’Africa del Nord, con un ristretto gruppo di amici fidati. “Nelle spedizioni in canoa la squadra è fondamentale. Nel nostro gruppo ognuno ha responsabilità precise, sempre le stesse, non applichiamo la rotazione dei ruoli perché ciascuno porta le proprie qualità. Io per esempio mi occupo della logistica, dalla prenotazione dei voli alle trattative con le autorità locali. La nostra è una disciplina individuale ma che esalta le qualità del gruppo”. In tempi in cui, per usare un linguaggio aziendale, si parla di team building prendendo solitamente ad esempio la vela, Vergani ci tiene a prendere le distanze: “In barca a vela ci si deve abituare a convivere in spazi ristretti, collaborando ciascuno al fine comune. Ma gli spazi ristretti generano anche conflitto, inoltre ci sono persone fondamentali e altre che invece sono quasi inutili. Nelle nostre spedizioni questo non accade”.
Partecipare a una spedizione in kayak significa anche esplorare luoghi a volte molto distanti, sia geograficamente sia culturalmente, e conoscere la gente: “I fiumi, come l’acqua, sono uguali in tutto il mondo, rappresentano un po’ casa nostra. Ma sono molto simili anche le genti che si incontrano, persone abituate a vivere in luoghi disagevoli, sulle prime un po’ diffidenti ma poi molto ospitali e generose”. Dei viaggi Vergani raccoglie brevi note in un diario che poi riversa nei propri libri. E anche il Festival cinematografico è un tributo a questa avvincente disciplina: “Il Festival, che è nato quasi per gioco per consentire la proiezione del film di un amico, è adesso un modo di restituire qualcosa alla canoa, che mi ha dato molto”, spiega, perché, come scrive nel suo ultimo libro, “viaggiare in canoa ti ridimensiona, ti fa riassaporare i gusti antichi della fatica, della sfida, delle difficoltà, della paura, della solidarietà, del sapersi accontentare e della sopravvivenza”. E ti aiuta a dare il giusto peso alle ansie della vita quotidiana.
Davide Ripamonti da Via Sarfatti 25 (il quotidiano)