La capacità di gestire team multiculturali e superare barriere comunicative rappresenta una delle competenze chiave nel Temporary Management moderno. L’agilità mentale e l’intelligenza situazionale sono requisiti fondamentali per un manager chiamato a operare in contesti aziendali sempre più diversificati e complessi.
La storia di Paolo Bottura dimostra come le competenze interculturali e la capacità di mediazione possano trasformare potenziali conflitti in opportunità di crescita professionale. La sua esperienza evidenzia come un temporary manager debba saper leggere le dinamiche culturali e organizzative per guidare team eterogenei verso obiettivi comuni, superando stereotipi e pregiudizi, che potrebbero compromettere il successo dei progetti.
Competenze Interculturali nel Management: Una Leva Strategica
Il racconto di Paolo Bottura
Un’esperienza che ha cambiato profondamente il mio stile di management
In Siemens, vent’anni fa, ero a capo di un team interdisciplinare, che aveva l’obiettivo di analizzare il tema dell’industrializzazione relativo alla system integration e di suggerire all’azienda decisioni operative, organizzative ed economiche, per aumentare in modo significativo il ‘riuso’ di componenti di progetti già eseguiti e per determinare i tempi di realizzazione, unitamente al P&L di progetto. In questo caso, si parla di progetti il cui valore medio superava i 5M di euro – alcuni raggiungevano addirittura i 50/60 milioni –, quindi recuperare componenti già realizzate significava aumentare il margine e la competitività nelle gare.
Eravamo 8/10 persone, tra manager, dirigenti e VP di varie estrazioni: commerciale, finanziaria e tecnica. In particolare, erano presenti due importanti VP della Casa Madre (Monaco).
Nella convocazione della riunione, avevo esplicitato che avremmo iniziato con una giornata di brainstorming e, in seguito, avremmo stabilito il percorso migliore per portare a termine l’incarico. Avevamo un mese di tempo a disposizione, non essendo quella la nostra unica occupazione.
Iniziammo un lunedì, alle 08:00. Alcuni colleghi italiani si distinguevano per il loro inglese maccheronico, le battute da bar e gli sfottò verso i colleghi ‘crucchi’. Non conoscevo (né, purtroppo, lo conosco ora) il tedesco, ma penso di aver percepito l’irritazione dei colleghi di Monaco, alcuni dei quali mostravano un evidente senso di superiorità. Tutti si conoscevano; mentre io conoscevo poco i colleghi italiani.
Iniziai la riunione scrivendo al clip-board alcune parole chiave, che suggerivo per il nostro brainstorming, chiedendo allo stesso tempo agli altri di contribuire e suggerendo di utilizzare il modello ITIL.
Improvvisamente, il più senior tra i più alti in grado dei colleghi tedeschi si alzò di scatto, mi prese il pennarello di mano e iniziò a scrivere un ordine del giorno, elencando i titoli delle ‘sotto-attività’, l’orario di inizio della discussione, quello di fine e così via, in una lunghissima lista di item, alcuni della durata di 20 minuti!
Gli sfottò degli italiani si trasformano in gestacci, mentre i colleghi tedeschi si irrigidirono sempre di più come delle statue.
Grazie ad un minuscolo libretto sulla lingua tedesca – scritto da due giornaliste italiane residenti da decenni in Germania –, che avevo letto da poco, mi apparvero davanti agli occhi i più classici dei luoghi comuni e … la soluzione al disastro in cui si stava trasformando la riunione.
Quel libretto descriveva, anche a chi non conosce la lingua tedesca, alcuni elementi fondamentali del modo in cui si formula, in tedesco, un pensiero mediante una frase. La grammatica e il processo di creazione delle parole composte (Wortbildung) impongono di conoscere, prima di iniziare a parlare, ciò che si vuole dire. Questa caratteristica, che non possiamo insinuare appartenga anche all’italiano, impone un rigore mentale senza il quale sarebbe difficile – se non impossibile – comunicare in modo chiaro. Si impara da piccoli a formulare i pensieri in quel modo.
Non entro nel merito della discussione inerente alla filosofia del linguaggio – ovvero se sia la logica del pensiero a formare la lingua o viceversa –, ma resta il fatto, che quel lunedì compresi con chiarezza l’importanza di ‘gestire’ i luoghi comuni, che nascono, si evolvono e si caratterizzano nel corso di secoli e millenni, spesso risultando imbattibili.
Presi nuovamente la parola (ma non il pennarello) dal mio collega tedesco e, rivolgendomi agli italiani, riassunsi la questione lingua versus logica del pensiero; chiarii il concetto in inglese, in modo da essere capito da tutti. Suggerii che, se la logica di pensiero del collega richiedeva la ‘sicurezza’ di sapere dall’inizio (della riunione) come si sarebbe conclusa, questo avrebbe dovuto essere rispettato. Infine, chiesi al collega, che mi ringraziò stupefatto, di continuare.
Dopo aver scritto le due pagine di ordine del giorno, iniziammo dall’item n.1, che terminammo di discutere… solo a fine pomeriggio: tutti gli altri vennero eliminati.
In seguito, il team lavorò molto bene e, un po’ in ritardo rispetto al mese previsto, consegnammo il risultato del nostro lavoro.
Da quel giorno, ogni volta che nel lavoro assisto a contrapposizioni dovute a luoghi comuni, mi riporto a quell’esperienza e, anche se non sempre, trovo il modo per gestirli senza eliminarli, perché ciò è impossibile.