La diffusa prassi della non risposta
Mail, WhatsApp, Instagram, Twitter, Linkedin, Facebook Messenger e chi ne ha, più ne metta. Sono tanti e utilissimi gli strumenti di comunicazione che tutti noi utilizziamo ogni giorno. Strumenti che hanno reso quasi inutile la chiamata telefonica diretta.
I contatti con le persone sono stati facilitati. Sono diventati immediati e diretti. Tutto è in tempo reale. L’efficienza dei processi comunicativi è sicuramente aumentata. La velocità è moltiplicata. Le persone sono raggiungibili ovunque e in tempi rapidissimi.
Con l’avvento della pandemia Covid-19 si è aggiunto l’utilizzo sistematico di altri strumenti di comunicazione: le conference call con Zoom, Google Meet, Skype, Teams, etc.
Oggi non esiste manager che non utilizzi tutti questi strumenti.
Iperattivi e ipertecnologici
Fino a qui, tutto molto positivo.
Qual è il problema forse più critico che deriva da questa grandissima rivoluzione tecnologica?
Le comunicazioni arrivano a qualunque ora del giorno e della notte e arrivano in qualunque situazione: durante una riunione, a pranzo, a cena, con gli amici, per non parlare dei momenti intimi. Non c’è tregua. Siamo veramente sommersi da informazioni, richieste, commenti, proposte. Navighiamo, felicemente iperattivi e ipertecnologici, nel fiume della comunicazione digitale globale. Siamo ubriachi di notizie e ci sentiamo vivi e mai soli. Siamo parte attiva di un gioco più vasto.
Ma dove sta il problema? Questa ondata comunicativa ha generato un comportamento che è assolutamente intollerabile che è la non risposta. Con la scusa del rumore di fondo, ci dimentichiamo di rispondere, di dare attenzione, di rispettare i nostri interlocutori rispondendo in maniera precisa e puntuale alle richieste o alle offerte che ci arrivano.
La non risposta è diventata prassi comune. Si contatta un fornitore chiedendo una quotazione e non si risponde; si intervistano le risorse per un’assunzione e in caso di valutazione negativa non si risponde. Si chiede un’informazione tanto per chiederla e una volta contattati non si risponde. Si coinvolge un professionista per la soluzione di un problema e ci si dimentica di dare una risposta, soprattutto se negativa… Potremmo continuare ancora per molto.
La non risposta già infastidisce nel mondo non lavorativo. Figuriamoci nel mondo del lavoro. E infastidisce ancora di più se questo comportamento viene tenuto da imprenditori e da manager. Voi direte: ma come è possibile? Ebbene oggi succede spesso. Molti manager non rispondono. Molti imprenditori non rispondono. Solo alcuni, una piccola minoranza, si prendono la briga di mandare una risposta, di dare un feedback.
Proteggere l’immagine aziendale
Quali sono le cause della “Non Risposta”?
Stress, troppi impegni, numerosità dei messaggi, troppe app di comunicazione, oppure la mancanza di un metodo organizzato per dare risposte e cioè mancanza di una pianificazione delle attività durante la giornata.
Non so dare una risposta univoca. Molto probabilmente le cause sono tante e spesso correlate. Ne aggiungerei una, che è quella che mi piace meno: il deterioramento dei rapporti interpersonali dovuto alla mancanza di rispetto e alla maleducazione.
La buona prassi manageriale, quella della customer satisfaction, ci ha insegnato che il cliente, nel senso più ampio possibile, deve essere soddisfatto, deve sentirsi sicuro nelle nostre mani e pertanto questi comportamenti dovrebbero essere assolutamente banditi dalla classe dirigente.
Allora cosa dobbiamo fare? Prima di tutto dobbiamo renderci conto del problema. Capire perché non applichiamo la buona prassi manageriale; fermarci e fare mente locale e organizzare le risposte durante l’arco della giornata, oppure rispondere a tamburo battente ogni volta che riceviamo una richiesta, un contatto.
Dobbiamo rispondere a tutti: ai nostri collaboratori, ai clienti, ai fornitori, ai professionisti. A tutti. Non dobbiamo farci travolgere. Se riceviamo un’e-mail dobbiamo rispondere, senza rimandare. Se riceviamo una richiesta dobbiamo evaderla, e rapidamente. Se promettiamo una telefonata di feedback entro una tale ora, dobbiamo farla. Se facciamo una selezione per ricercare una risorsa da inserire in azienda non dobbiamo solo telefonare alle risorse prescelte per convocarle per l’incontro definitivo, ma dobbiamo informare anche le persone scartate. Se chiediamo un’offerta a una società dobbiamo dare una riposta anche in caso di decisione negativa. Non dobbiamo scomparire dai radar come spesso avviene. Che immagine diamo della nostra azienda ai terzi?
La buona prassi relazionale paga sempre
Questo buon comportamento relazionale è più faticoso, a volte estenuante, ma non c’è alternativa se si vuole essere apprezzati e stimati e se si vuole servire bene il cliente.
Rispondere sempre e in tempi rapidi e in maniera professionale è la chiave per migliorare il servizio e l’immagine della nostra azienda.
Da queste piccole cose si capiscono le persone e le aziende, e da questi piccoli comportamenti si riconoscono le aziende e persone di classe A dalle altre, che scivolano verso un progressivo e inesorabile imbarbarimento relazionale con inevitabili riflessi economici di lungo periodo.
Cos’è il numero di Dunbar?
Per non essere del tutto tranchant voglio concludere con un concetto (che prende il nome di numero di Dunbar) sviluppato dall’antropologo britannico Dunbar (1993).
La domanda che si è posto è la seguente: qual è il numero massimo di persone che possono far parte di un gruppo sociale? Al termine di svariati studi ha stabilito a 150 persone l’ampiezza massima di una community. Il limite è dovuto alle capacità cognitive dell’essere umano, misurate dalla dimensione della neocorteccia. È abbastanza curioso constatare che questo numero corrisponde a quello medio delle community su Facebook.
Il buon manager di certo non può stare col pallottoliere per rendersi conto di aver sforato le potenzialità che ha il suo cervello di gestire diverse community. A lui non spetta il compito di intrecciare continue nuove relazioni ma semplicemente di prevedere il feedback come forma di educazione sociale.