PERCHE´ IL PICCOLO IMPRENDITORE SI ADAGIA SUGLI ALLORI

Spesso una impresa di piccole dimensioni che da anni opera sul mercato con successo viene messa pesantemente in crisi da radicali cambiamenti: tecnologici, di prodotto e/o di processo, da sostanziali modificazioni dei bisogni e dei gusti degli utilizzatori finali.

L´imprenditore, che è a capo di una piccola impresa di successo, si crogiola negli allori del passato, minimizza l´importanza dei cambiamenti tecnologici e di mercato, si adagia e non rinnova la sua azienda. Per tale motivo, proprio quando si è raggiunta una posizione di successo, è necessario porre la massima attenzione ai segni di mutamenti ambientali e predisporre le azioni di cambiamento strategico-organizzativo per non perdere le posizioni acquisite.

A volte però, dietro all´apparente sicurezza causata da un successo prolungato, si nasconde la paura del cambiamento. L´imprenditore spesso ha paura che l´inserimento in un´azienda di nuove tecnologie, l´entrata in un nuovo mercato, il lancio di un nuovo prodotto e , in generale, tutte le azioni di cambiamento aziendale volte fronteggiare i mutamenti ambientali, possano avere un impatto negativo sulla formula imprenditoriale che per tanti anni ha dimostrato di funzionare in modo egregio.

L´abbandono della strada che si è seguita fino a poco tempo prima, a favore di un´altra incerta e insicura, la possibilità di distruggere tutto ciò che è stato creato in tanti anni di lavoro, spaventano l´imprenditore al punto che preferisce continuare sulla vecchia strada ed attendere le mosse dei concorrenti anche quanto farebbe bene e rivedere alle radici la sua impostazione imprenditoriale.

La resistenza al cambiamento da parte dell´imprenditore di una piccola impresa trova una serie di cause sia nella sua personalità, sia nell´organizzazione e nei suoi rapporti con l´esterno. In primo luogo la formazione prevalentemente tecnica del piccolo imprenditore lo induce, sulla base della sua esperienza, a vedere nella tecnologia che ha impiegato con successo per tanti anni, e che quindi domina pienamente l´unica alternativa valida o la più conveniente per il tipo di produzione a cui è stata destinata. Ciò lo porta a scartare a priori qualsiasi innovazione che gli scombussolerebbe il sistema produttivo.

La seconda causa, direttamente collegata alla prima, è la mancanza di informazioni sull´utilizzatore finale, sui suoi bisogni specifici e sulla loro evoluzione. Sovente ciò deriva dalla scarsa sensibilità al mercato da parte del piccolo imprenditore, cioè dalla sua difficoltà a mettersi nei panni del consumatore e dall´utilizzo talvolta eccessivo del grossista come acquirente e distributore di prodotti. Vendendo al grossista non è possibile sapere a chi è destinato il prodotto, quali sono le reazioni del consumatore di fronte ad esso e quali i suoi suggerimenti di miglioramento.

Un terzo motivo, ma non per questo meno importante, è l´isolamento più o meno totale del piccolo imprenditore. Egli si trova solo all´interno dell´azienda. Difficilmente riesce ad avere un confronto aperto e costruttivo con i collaboratori sui principali problemi di sviluppo dell´azienda, sulle strategie competitive più opportune, e in generale sulle tematiche di rilevanza strategica per la sua impresa. I rapporti sono comunque caratterizzati da un clima paternalistico che spesso domina nelle piccole imprese. I collaboratori, al fine di evitare conflitti e tensioni e di mantenere il clima di familiarità esistente, evitano di esprimere le loro idee innovative e contribuiscono così al mantenimento del clima creato.

L´isolamento non è soltanto interno ma anche interno. Scarsi sono i contatti con gli altri operatori del settore, che vengono visti solo come concorrenti da sconfiggere. La paura di fornire loro informazioni rilevanti sul mercato, sulla tecnologia e sull´azienda idonea a evitare i contatti. Ridotti sono i rapporti con le associazioni di categoria, alle quali l´imprenditore si rivolge soltanto per avere indicazioni su problemi sindacali, normative e fiscali. D´altro canto le associazioni poco hanno fatto e fanno per contribuire alla soluzione dei problemi strategici delle piccole imprese e allo sviluppo di una imprenditorialità più moderna. Inoltre, limitato è il ricorso ai consulenti per problemi strategici di gestione e di organizzazione. L´unico consulente accettato è il commercialista che, oltre a redigere il bilancio e a completare la dichiarazione dei redditi, è l´unico consigliere, per altro parziale, del piccolo imprenditore. Nulli infine sono i contatti con gli istituti di ricerca e con le università – percepite come luoghi dove tutto si fa, fuorchè qualcosa che abbia un´utilità diretta per le imprese.
Riassumendo possiamo dire che questa paura del cambiamento è dovuta ad una serie di motivi di carattere spiccatamente culturale, il superamento dei quali permetterà al piccolo imprenditore di avere il necessario “specchio” con cui confrontarsi sui problemi rilevanti della sua impresa, e quindi ridurre l´isolamento.

Angelo Vergani